S’era innamorata come facevano e fanno ancora tutte le ragazze
ma il suo era un amore più assurdo che impossibile,
era troppa la differenza sociale, lui dottore e lei…niente,
lei faceva parte di quella umanità che non si capisce come faccia a vivere,
fatta di disoccupazione, digiuno e privazioni d’ogni sorta
una fetta di genere umano disumanizzata
che essa stessa si sentiva immeritevole di ogni considerazione.
A volte passavo davanti a casa loro e vedevo dalla porta sempre aperta il
vano buio
e il pavimento di terra e mi dicevo che in quelle condizioni era difficile
anche sognare.
E invece lei un sogno ce l’aveva, era forse impossibile ma se non ci sono i
sogni
non sarebbe possibile niente, anzi, soprattutto quelli impossibili sono i
più stimolanti
e lei era talmente stimolata dal suo sogno
che le nasce la voglia di una condizione migliore
e nella mente di una giovane ragazza innamorata
cominciano a frullare strani pensieri fino al giorno in cui prende la
corriera,
va in città e si mette ad aspettare sotto un ponte.
Non c’è molto da aspettare e dai primi incontri che la fanno arrossire
si fa presto a passare a un mestiere consolidato, il prezzo basso e il
passaparola
fanno diventare quel posto più frequentato di un forno di paese.
Lei si divide tra i clienti e a tutti fa fretta perché
“Mi parte la corriera e ancora c’è qualcuno che aspetta. Muoviti dai fai in
fretta”
e tutti di dimenavano come matti per fare alla svelta finché,
non conoscendo il suo vero nome, cominciano a chiamarla “La Cunilla”
(La Coniglia) per la velocità con cui quei simpatici animali fanno le loro
trombatelle.
Certo in paese la differenza si vede, vestiti nuovi, un filo di rossetto,
parrucchiera
e soprattutto passeggiate in piazza dove non s’era praticamente mai vista.
Ma la vita è strana e quando a casa si accorgono di questi facili guadagni
le mettono di fronte il resto della famiglia da sfamare e a quel punto
non è difficile capire che lavorare veloci va bene ma c’è un limite a tutto
anche se chi aspetta il pane con la bocca spalancata pare non saperlo
e quando non ne arriva abbastanza (e non è mai abbastanza) s’incazza e
gliene fa una colpa.
Ieri ero in paese e passando in piazza l’ho vista camminare incerta
lì per lì non l’ho riconosciuta, poi ho creduto di conoscerla ma non mi ricordavo
chi era,
ma alla fine ho capito che era lei, ma certo che era lei, la Cunilla!
Ho idea che in paese quasi nessuno conosca il suo vero nome,
Anna, sarebbe anche facile ma il paese si divide in classi
e la classe di Anna non prevede un nome
e per il branco di coraggiosi pecoroni di paese Cunilla è perfetto.
Oggi vive ( si fa per dire) in un ricovero
e siccome è ancora fisicamente autonoma
esce a fare piccoli servizi, a comprare questo e quello
e non manca di passare davanti a qualche bar
a chiedere per favore un bicchiere di vino
e allora tra due chiacchiere e una pacca nel sedere
qualcuno che paga lo trova sempre.
In paese di bar e d’osterie ce n’è parecchi e quando li hai girati tutti
non è facile stare in piedi e allora si siede su uno scalino
ad aspettare che la sonnolenza passi
o ad aspettare che un’anima buona l’accompagni al ricovero
dove lei non vuole che si suoni il campanello
per non far sapere che anche quel giorno ha girato parecchi bar
e allora rimane a terra sdraiata sul selciato sotto la loggia.
La Cunilla Anna è una che ha dato, ha dato soltanto
senza ricevere e anche stasera sotto quel loggiato
avvolta in un cappotto da cui non importa se si staccano i bottoni
o che si sporchi tanto non è suo, è solo di terza mano
ecco, anche quei vestiti cha ha indosso nessuno li ha dati ad Anna,
qualcuno li ha messi in una busta e li ha buttati sotto la loggia
perché era più facile che portarli nel bidone.
Sdraiata lì sotto e dentro quei panni forse Anna sogna
di essere tornata bambina a pestare scalza un pavimento di terra
quando chissà mai abbia avuto qualche sprazzo di innocente felicità.