domenica 27 ottobre 2013

Alessandro



Iersera stavo sparando col fucile a piombini
a volte lo faccio da dentro casa tiro in un bersaglio che ho messo nel terrazzo
e a un certo punto ho sentito che da fuori mi chiamava Alessandro,
sono andato alla porta e lui m'ha chiesto se lo facevo provare
l'ho fatto entrare e gli ho insegnato come si fa,
abbiamo fatto un po'di tiri insieme e poi l'ho lasciato lì da solo
tanto lui ormai è grande, ha dodic’anni e è anche bravo, ci si può fidare
ha appena finito la seconda media e è sempre stato riservato,
quasi si vergogna di tutti, sta sopra casa mia e l'ho sempre avuto a cuore
ha un fratello che suonava la batteria nel garage
e quando tutti si lamentavano io ero l’unico a difenderlo, anche nelle riunioni condominiali
ha anche una sorella più grande,
diciamo che lui è arrivato tardi e è il cocco di tutti
Allora dicevo che è venuto, gli ho insegnato e gli ho anche detto che deve concentrarsi,
altrimenti non c'è niente da fare,
la concentrazione fa la differenza tra uno sparatore e un tiratore, ha capito subito,
c'avrei giurato.
Dopo un po' lo vedo dalla finestra dello studio che agita il fucile
per farsi vedere dai compagni che sono nel cortile
e poi viene da me e mi chiede se posso far entrare un amico
"Va bene, va a aprirgli la porta"
entrano in tre, un ragazzino di quelli carini che pareva un figurino e due femminucce
io li faccio sparare a turno, le ragazzine sono un po' incerte e non sparano,
si sciolgono dopo un po' e allora sparano anche loro,
siamo stati lì fino a che c'era luce abbastanza per vedere il bersaglio
che era una campanella attaccata a un filo
quando uno ci prendeva le femmine esultavano e li guardavano come fossero idoli,
loro, le femmine sono più piccole, andranno in prima media
avevano occhi solo per loro,
ho pensato che avranno tutta una vita davanti
e magari lo considerano cosa normale, anzi banale
è stato bellissimo vederli e pensare che fra qualche anno
anche la mia Bianca avrà un idolo che non sarà suo babbo
ma uno che farà finta di fregarsene di lei ma che anche lui sognerà di farci una famiglia
come ha fatto suo nonno.

domenica 6 ottobre 2013

Madrid



Per questa strada ho fatto su e giù in macchina per almeno quattro volte,
perché il navigatore non riceveva bene tra i palazzi e mi dava informazioni  confuse,
poi alla fine ho trovato l’albergo, ho messo la macchina nel parcheggio e sono salito in camera.
L’avevo vista dall’auto la Gran Via di Madrid piena di macchine, negozi  belli e grandi,
abbigliamento, scarpe profumerie, bar, teatri, ristoranti… gente a fiumi.
poi l’ho fatta a piedi e allora ho visto meglio:
lustrascarpe col loro baracchino rosso che non avevo mai visto


gente che chiede l’elemosina, ma non barboni, gente normale, facce da impiegato,
da operaio che escono di casa senza magari aver avuto il coraggio di dire ai parenti
come fanno a portare a casa 10 euri al giorno.
Ho immaginato che non abbiano più nessuno scopo per stare al mondo,
che pensino di farla finita almeno dieci volte al giorno
e non lo fanno perché sentono ancora l’impegno di far mangiare quelli che stanno a casa.
Passi dritto, ma, dopo che ne hai visti sette o otto, ti decidi a dargli un euro,
così ti lavi la coscienza per tutta la giornata,
metti il soldo nel piattino senza guardarlo, per paura che ti ringrazi
o per paura di specchiarti.
Continuo a camminare tra gente che cammina svelta
e non mi sento insieme, sono lì a guardarli come li vedessi alla tele,
loro sono gente e io turista, diverso e distaccato.
Donne vestite con panni di qualche anno fa che magari vengono da qualcun’altra,
le vedi che cercano di darsi un contegno, ma a ben guardare
si capisce che sanno che gli altri si accorgono della loro finzione.
I giovani fanno capanno: quattro firme addosso e un cellulare in mano
anche loro fingono di essere ricchi
e mi viene in mente che solo trent’anni fa noi facevamo finta di essere intelligenti
credendo che l’intelligenza fosse la cosa più importante da mostrare
a questi dell’intelligenza non gliene frega un cazzo
per loro va bene avere la testa vuota, Dolce e Gabbana, smartphone e vai col tango.

“ Mi dai un euro per un panino’
deve aver detto così uno strafatto che mi si avvicina,
si vede bene che è da troppo tempo che si fa ed è ridotto a ossi e stracci
“Vieni al bar che il panino te lo pago io”
“ Te dammi i soldi che lo compro da solo”
arriva una vigilessa e lui se ne va
prima che lo mando a cagare e magari mi sarei anche pentito.
Rivisito il museo Regina Sofia ed esco più buono.
Dovremmo andare tutti al museo: si esce migliori.
Qualcuno potrebbero mandarcelo tre volte al giorno invece di incarcerarlo:
avremmo le carceri meno affollate e si respirerebbe più cultura
ma questo è un altro discorso.
Il Regina Sofia è un museo ricavato in un antico edificio












al quale sono stati aggiunti un paio di ascensori
chiusi in gabbie di vetro e appiccicati alla parete esterna.
Già solo a vedere il piano terra pare di stare in un labirinto,
poi quando si va di sopra, appena uscito dall'ascensore trovi il cesso
e quando esci di lì vorresti che ti facesse da guida Arianna col suo bel filo.
Un paio di righe per terra tanto per farti capire dove andare non guasterebbero,
comunque Guernica è nell'ultima stanza
forse perché hanno paura che uno quando ha visto quella se ne va senza guardare il resto.
Son rimasto l' almeno tre quarti d'ora a vedermi il quadro
e tutto quello che di Picasso c'era esposto nello stanzone dov'era.
L'uscita è stata traumatica con lei che mi tirava per un braccio
e io che volevo chiudermi nel cesso per vederlo anche di notte.
Al botteghino volevo comprarlo e allora ho chiesto:
"Tiene mas grande?"
M'hanno risposto di no e m'han fatto vedere il più grande che avevano
che era press'a poco come un francobollo
ho inghiottito un vaffa e li ho salutati con un bel sorriso.
Vado in piazza San Miguel a mangiare qualcosa al mercatino,
un posto caratteristico per la falsità che si respira.
Si mangia solo roba tipica, merdate internazionali spacciate per tipiche
confezionata in modo che tutti raccontino di essere stati lì.
Fuori dalla porta tre mendicanti stanno litigando per la posizione
non capisco cosa dicono, ma pare che uno si sia messo troppo in mezzo al passaggio.

Oggi si va per monumenti, cominciamo dal Palazzo Reale con annessa cattedrale,
che son vicino all’albergo.
Il palazzo si vede da lontano, da dietro una inferriata, se paghi anche da vicino, 
io pago già la manutenzione della mia casa 
e non mi va di contribuire a pagare  quella della casa d'un re.
La cattedrale è una roba che non andrei a vedere neanche se fosse
a due passi da casa mia; esco e non ho voglia di vedere altro.
Giro e guardo per aria anche per non vedere le miserie raso terra.
Sbaglio strada e mi ritrovo in un vicolo dove la fame trasuda dai muri:
una bottega con dentro uno che pare la foto della disgrazia,
vende robe che non so come hanno fatto a stilare la tabella delle attività commerciali
praticamente tutto, quello che mi attira però è un pennello da barba
che sta dietro a un finestrino spacciato per vetrina, entro e lo compro,
l’unica cosa vera di questa città di plastica, un pennello da barba in pelo di cavallo
una roba che si fa solo in Spagna.

Stasera si mangia a Plaza Major: tapas!
Le ho sempre sentite nominare come un piatto caratteristico
ma non sapevo neanche cosa fossero,
adesso lo so: pane abbrustolito con sopra quello che ti passa per la testa.
Nel tavolo a fianco arrivano due ragazzi,
lei fighetta carina lui palestrato con capello a cresta
fanno l’ordine e si mettono a smanettare lei col telefono e lui con un tablet
dopo un po’ gli portano due cocacole e poi un fagotto di frittura
lui scansa il suo piatto per far posto a al computer
e mangia pescando con le mani dal piatto di portata
e affogando nel limone ogni pezzo di frittura
si accendono una sigaretta e continuano a mangiare, smanettare bere coca, fumare e ridere
ogni tanto alzano la testa e si guardano intorno .
Sogno di prenderli a cazzotti e fargli ingoiare i telefoni,
m’arriva il conto pare quello di Chez Maxime.

Oggi si parte: avrei voglia i dire finalmente, pago l’albergo e il parcheggio
che costa la metà dell’albergo,
passo accanto all’Arco della Vittoria,
simbolo della vittoria della democrazia sulla dittatura,

ma i conti non mi tornano: democrazia senza benessere collettivo
e senza solidarietà è una roba che non mi torna,
Dietro si vede il faro de la Moncloa, una torre alta 110 metri:
si paga e si sale e di lassù si vede tutto senza guardare niente
e la gente pare tutta uguale e bella e non ci sono poveri e disgraziati
si scende felici per aver visto Madrid.
“Che bella!”
Vado via con mia moglie di fianco che più sta zitta e meglio sto
e pare che lo sappia che c’ho qualcosa che non va e tace.
Legge il giornale e ogni tanto mi passa una notizia:
“ Il senato americano vuole tagliare i fondi per la sanità pubblica”
l’unica cosa pubblica destinata ai disgraziati la vogliono levare
poi si incazzano se a uno gli girano le palle e fa le stragi.
“In Siria il regime ha ammazzato migliaia di persone col gas”
E' chiaro che è una balla per indottrinare la gente.
“ Se lo facessero da noi ci farebbero pagare la bolletta
prima di cacciarci il tubo in gola”
Lo so che è una idiozia ma non ne posso più,
fortuna che ogni tanto sono scemo altrimenti diventerei matto.


N.B.1: La foto del museo Regina Sofia l'ho raccattata dalla rete
N.B.2: Non sono particolarmente maldisposto verso questa città,
a suo modo è piacevole, la mia critica è rivolta a tutte le città
anzi a tutta la società occidentale che ha perso di vista il bene comune 
per far posto a ricchezze individuali e chissà perché vedere questa città
m'ha fatto venire a galla questo stato d'animo.