domenica 15 dicembre 2013

Massimo



Uno pare che i nomi degli amici se li sceglie,
ma se questo si chiama Massimo non ci posso fare niente,
ormai ce n’ho una decina intorno e quando a casa mia si dice Massino
siamo obbligati a far seguire una descrizione e per lui è “quello delle tette”
perché lui di mestiere controlla quelle,
a me mi tocca strabuzzare gli occhi per non farmi accorgere se le guardo,
lui le ha sempre davanti al naso e fa le mammografie, dicono sia bravo, non dubito.
E’ secco e taccagno, lo dico insieme perché ho sempre pensato
che le due cose fossero collegate, veramente di collegamenti ne avrei anche un altro,
ma su questo non ho mai chiesto conferma: è la stitichezza,
se uno è magro e anche stitico allora secondo me è taccagno un bel po';
lui ha una marcia in più: è silenzioso, ma non solo perché parla poco,
no, è che quel poco che dice pare gli costi sangue.
Quando siamo in macchina e lui dice qualcosa mi vien voglia di alzare il volume dalla radio,
tanto lo dice a bassa voce e, siccome mi son stancato di dirgli di ripetere,
faccio finta di correre dietro ai miei pensieri e non rispondo.
Comunque Massimo adesso s'è innamorato, e non ci sarebbe niente di male,
solo che si è innamorato a 62 anni,
L'innamoramento è come una malattia,
da giovane hai dei febbroni da cavallo ma durano poco
da anziano la febbre non è alta ma sta lì e non va via mai.
Innamorarsi a 62 anni poi è abbastanza frequente,
si parla spesso di gente che a quell'età e anche oltre
si sia innamorata di ragazze di venti o trent'anni, succede,
ma le statistiche dicono che il fatto è strettamente legato allo status sociale:
più soldi hai più spesso succede.
E’ come se gli innamoramenti li regalasse Equitalia ai migliori contribuenti.
Comunque Massimo non sta nelle alte sfere della finanza, anzi, però oh, s'è innamorato.
Che uno si innamori a 62 anni senza essere ricco sfondato ancora va bene ma Massimo ha famiglia,
tre figli che sono bellissimi, mi vogliono un bene che non ti dico, a me,
al padre adesso un po' meno perché se ne è andato di casa,
ma insomma lui è lì che sta manovrando
e sono sicuro che prima o poi gli vorranno bene come prima,
non lo dico come fosse un augurio, lo dico perché son convinto che
l'odio perenne è una rarità e alberga solo in anime forti
e qui da noi le anime forti scarseggiano, ma non perché siamo pecoroni,
è una questione geografica  che poi ha condizionato il DNA, mi spiego:
Le Marche si chiamano così perché il nome deriva da demarcazione, confine,
e noi eravamo al confine di tutti e tutti passavano da qui, Piceni, Etruschi, Romani, Cartaginesi,
i barbari son venuti a frotte, pareva che si passassero la voce,
poi è stata la volta degli Arabi, i Francesi, ultimamente anche qualche turista che chissà da dove viene
e tutti si sono approfittati delle nostre donne.
Se un ostrogoto non batteva un chiodo a casa sua lo mandavano da noi
tanto qualcosa rimediava di sicuro.
Questo per dire che abbiamo il sangue più misto del mondo
e ancora c'è gente da ste parti che cerca la razza pura:
siamo bastardi incrociati coi meticci ecco,
tanto per dire che anche caratterialmente c'è chi è più determinato di noi
e con sto giro largo volevo dire che, insomma,
le marachelle di un padre da ste parti prima o poi i figli le perdonano.
Riepilogando, Massimo, 62 anni, taccagno, poco abbiente, con tre figli a carico
(o a scarico, dipende dai punti di vista), si è innamorato.
Ma Massimo è anche ammogliato, la moglie è ‘na brava donna che porta a casa una buona paga,
non sarà bella come un ritratto di madonna ma non è nemmeno brutta:
è normale, secca anche lei (stitica non lo so) ma è normale e comunque s'erano scelti.
In questa storia pare tutto normale, lui, Massimo, i figli, la moglie, la loro vita le loro paghe
le vacanze che fanno in roulotte, il lavoro…
però a 62 anni Massimo s'è innamorato lo stesso e un giorno m’ha detto
“Mi sono innamorato”
“Come sarebbe innamorato, e poi di chi?”
“Non la conosci”
“Allora è una di fuori che è venuta a fare una visita da voi guardoni porcelli
ma com’è , bella, brutta; alta , bassa, com’è fatta ?“
“Tu stronzo pensi sempre lì, io questa non lo so com’è”
“ Come sarebbe non lo so, l’avrai vista, no?”
“No, non l’ho mai vista, ho letto cosa scrive e mi sono innamorato”
“ Ma figurati, allora anche della Tamaro potevi  innamorati,
ci sono migliaia di scrittrici che scrivono bene, ma da qui a innamorarsi ce ne corre”
“A me come scrive la Tamaro non mi piace e poi io a questa gli ho telefonato,
c’ho parlato e gliel’ho detto che ero innamorato”
“E lei t’ha mandato a cagare, …sennò tocca ricoverarla subito”
“ No, ha detto che ci pensa”
“ Che pensa a cosa?”
“Se ricambiarmi”
“Era ancora in ambulanza o era già in isolamento al Cottolengo?”
Ma dimmi tu se un idiota che legge una cosa intelligente scritta da una donna si possa innamorare!
E la cosa più incredibile è che anche lei pare (speriamo di no) che ricambi!
Questo sovverte tutte le mie certezze sulla chimica dei sentimenti :
io c’ho messo in piedi una teoria strepitosa sulla chimica dei sentimenti
e lui in un attimo smonta tutto, la mia è una teoria seria mica una cazzata
e parte dalla costatazione che gli odori non sono gli stessi per ognuno di noi,
li sentiamo in modo diverso, quindi se per me una cosa puzza e per un altro profuma
un motivo ci deve pur essere, un esempio pratico di questa teoria è che
se ti avvicini a una donna, dopo che ha fatto venti chilometri di corsa
sudata, con la schiuma sotto le ascelle come una cavalla,
e invece di sentire quell’odore acre del sudore che le si secca addosso,
senti profumo di Chanel numero cinque, ecco quello è amore.
E con la chimica non si scherza, è una cosa seria e provata.
“Te questa cosa non la capirai mai, te sei uno capace di piangere davanti a Guernica
e hai la terra sotto le unghie e sei felice di averla perché è la tua terra
ma con le donne riesci a fare solo una cosa,
io ho trovato qualcuno con cui avrei potuto vivere,
il destino ha voluto che non fosse così, ma adesso sappiamo tutti due
che a questo mondo qualcuno che poteva amarci esiste,
forse non ci vedremo mai ma solo sapere che una persona ti ama
è una sensazione stupenda che te, con tutto il tuo amore per le cose
e il mare, i tuoi cazzo di quadri e le minchiate sull’arte
non capirai mai”

Massimo mi ha chiesto un consiglio e io gli ho detto che devono incontrarsi,
gli ho detto:
“ Incontrala, prima però stai una settimana senza fare la doccia cambiare maglietta mutande e calzini,
se ti sta vicino per più di cinque minuti è la donna della tua vita
sennò lascia perdere e torna a casa”.
Dovrebbe funzionare.

20 marzo, è passato un mese e mezzo da quando l’ho visto l’ultima volta
suona il telefono ed è lui che chiede cosa faccio per pranzo
e come al solito se gli piace s’invita e oggi s’invita.
Quando finito di mangiare van via tutti rimaniamo soli e si può parlare:
“Allora com’è andata?”
“Benissimo, ma… ma lo sai che sono proprio cretino io?...
Perché dò retta a un testa di cazzo come te,
che mi fa fare figure di merda,….
ho seguito il tuo consiglio
e vuoi sapere cosa mi ha detto appena ci siamo visti?”
“Dai dì”
“Vuoi fare una doccia?”

mercoledì 27 novembre 2013

Il bar



Sandro, volevi sapere com’era da noi? e allora te l’ho scritto
in modo che ti fai un’idea di come si vive in paese
te che sei sempre stato nella capitale.

Questa è una via di mezzo tra un paese e una città , un bel paesone di provincia che conta nove o dieci mila abitanti, dove ci sono tredici chiese e sedici bar.
Il bar qui è un prolungamento del soggiorno di casa, tutti passano da lì almeno una volta al giorno, magari solo per metterci la testa dentro ma la tappa è sacrosanta.
Il bar di Cucci è in piazza e la piazza è un altro luogo in cui il quotidiano passaggio è d’obbligo
tant’è vero che per darsi appuntamento si fissa solo l’orario, il posto si sa.
I fratelli Cucci sono due ragazzoni che, tornati dall’estero hanno comprato il bar,
è bello, esposto sud est e le mattine di primavera i pensionati stanno seduti di fuori
a godersi il primo sole, è ben tenuto e pulito, l’hanno rifatto qualche tempo fa
e per pagarlo alla svelta hanno smesso di fare gli scontrini.
Apre alle cinque e mezza di mattina perché a quell’ora passano due tartufari e un cacciatore
e per il vecchio Cucci  sarebbe un delitto perdere quei tre caffè,
la serranda è alzata per un metro circa e il vecchio tiene la scopa in mano
perché se entra qualche ficcanaso vede che lui sta pulendo.
Dopo, in mattinata arrivano i figli e gli danno il cambio.
I fratelli si assomigliano solo fisicamente, uno, Silvio espansivo e sorridente,
l’altro, Renzo, non ride mai e quando ti da il resto te lo da tanto a malincuore
che ti viene voglia di lasciarglielo. In ogni caso gli scontrini non te li danno nessuno dei due,
manco se ti sgozzi sul bancone.
Alle undici arriva il romanetto (ha una fabbrica di confezioni ma non ci va quasi mai tanto c’è la capo operaia che la manda avanti), è in paese da cinquant’anni ma ancora fa finta di parlare romano, si mette al bancone con Marcello (che di mestiere vende i cateteri agli ospedali),
Oscaretto (bidello fungaio e grande pescatore di tutto, anche di gamberi di fiume
che se ti prendono i guardapesca ti fanno un culo come un’ora di notte),
Valter Denti che si chiama così, per nome e cognome e fa il meccanico dentista
e ancora va a correre con la moto per i monti
e stacca la targa per non farsi riconoscere dalle guardie ecologiche,
Uliano (che indovina per chi votava il padre), mio fratello e qualche altro occasionale
tra cui io, (ma ormai che sono fuori non vado quasi più).
Quando si è fatto un numero congruo,
si incomincia il giro dei prosecchi, se ne paga un giro a testa e insieme a Silvio
si tira fino alle una, abbuffandosi di noccioline patatine e pizzette.
Il mercoledì che è giorno di mercato si cambia, Valter Denti
che ha il padre che vende il pesce vecchio (quello fresco non sa di niente) porta la frittura,
(da fritto il pesce puzza meno) il prosecco no, quello non cambia mai.
Una volta uno di fuori, amico di qualcuno, ha chiesto un caffè,
non solo Silvio non gliel’ha dato, ma per poco non lo buttano nella vasca di piazza
perché il caffè si beve fino alle dieci e solo al bancone, non nella saletta,
dopo c’è il prosecco!.
Verso mezzogiorno vengono gli impiegati del comune a prendere l’aperitivo
e raccontano i fatti di tutti, i segreti prendono il volo e fanno il giro della città.
Il bar dei Cucci è grande, di sotto ha due sale e sono sempre piene di gente,
d’inverno, quando non si può stare fuori fanno andar via i più antipatici,
non gli danno da bere e gli dicono di andare da Berti, l’altro bar di piazza.
Le mattine d’estate, invece, la gente sta fuori sotto i due tendoni
che di pomeriggio si tirano su perché il sole è andato via.
Ogni tanto i ragazzi più scalmanati prendono qualcuno di sorpresa
e lo buttano nella vasca che è in mezzo alla piazza,
una volta la funzione era molto frequente tanto che il sindaco la fece vuotare
e per poco non perde le elezioni.
Il primo pomeriggio c’è il padre e noi non andiamo mai, solo d’estate,
quando a casa le mogli ti annoiano, ti vieni a rifugiare da Cucci
e stai li fuori mezzo assonnato a far finta di leggere il giornale
per non farti rompere le scatole da nessuno.
Nelle prime ore del pomeriggio vanno a giocare a ramino sempre i soliti quattro o cinque,
vanno di sopra dove non li vede nessuno e ci stanno fino a cena,
poi tornano e vanno avanti fino a mezzanotte.
Tra loro c’è il comandante dei vigili al quale davano tutti del ”lei” e gli dicevano
“Lei comandante di carte non capisce un cazzo”,
questo succedeva prima che andasse in pensione,
ora che è pensionato non ci giocano più perché non c’è più gusto a mandarlo affanculo.
Dalle sei del pomeriggio si ricomincia solo che al posto dei prosecchi c’è la birra,
ma non si consuma molto perché non è bello farsi vedere in mezzo a piazza a bere
e allora si va all’ACLI, nella via dietro, che hanno il vino buono ed è più riservato
o da Squaquà a farsi una Cères, ogni tanto si torna da Cucci quasi per paura di perdere il posto,
si fanno due chiacchiere con quelli che sono li e poi si riparte.
Sulla porta c’è sempre qualcuno che sta li come una sentinella
e quando passa la bonona di turno mette dentro la testa e dice “arriva”,
è come un allarme, tutti, maschi e femmine si trasferiscono fuori a guardala passare in silenzio finché gira l’angolo della via e allora il silenzio si rompe e cominciano i commenti,
ognuno svela le cose più assurde che vorrebbe fare con quella cristiana.
D’estate, la sera dopo cena, mettono fuori i tavoli e occupano un terzo della piazza
anche se pagano 3 metri quadri di occupazione del suolo pubblico, 
c’è sempre qualche aiutante, di solito parenti, che costano meno
tu ordini qualcosa e se tarda e ti lamenti ti rispondono che sei li perché hai tempo da perdere
e allora perdilo senza rompere i coglioni altrimenti vai da Berti.
Una estate hanno fatto arrivare il gelato di soia e lo volevano dare a tutti
ma siccome ci eravamo passati la voce non lo comprava nessuno
e si arrivava al bar leccando il gelato di un altro, i Cucci erano incazzati neri
e non ci si poteva più parlare, quando ci vedevano arrivare col gelato ti dicevano
che non capivi una mazza perché la soia fa bene e non ingrassa.
Abbiamo riso due mesi di fila.
La televisione dai Cucci è importante, era un cimelio fino a pochi anni fa
ma poi si è rotta e allora volevano fare una colletta per rifarla nuova
ma poi si sono accorti che stavano esagerando e allora l’hanno pagata loro.
E’ un ventun pollici, tanto più grande non serve e sta sotto la scala
che porta di sopra, è talmente in alto che se la vuoi vedere è meglio stare in piedi
sennò ti viene il torcicollo, per cambiare canale tocca fare domanda in carta bollata
e se c’è il padre ti risponde che a quell’ora non danno nessun programma decente,
meglio se sta spenta.
I fratelli Cucci vanno in vacanza a Settembre, tutti insieme e sempre in Sardegna,
abbiamo sempre sospettato che affittano un nuraghe e ci si infilano dentro loro, le mogli e i figli.
Il bar resta chiuso ma le sedie stanno fuori perché in paese non si può cambiare bar,
se vai in un altro ti senti come forestiero in casa,
la compagnia non è la stessa e così non è bello
e poi quando tornano i Cucci ti guardano come un traditore.
Il bar è un posto speciale, quando compri casa, prima chiedi consiglio al bar,
per la macchina uguale, se poi fai di testa tua sei un idiota,
non puoi chiedere consiglio e poi non lo segui!
Li si organizzano le “godiole” che sono delle cene
solitamente sono a base di cacciagione che riporta il romanetto
dalla Russia o dalla Spagna, io manco quasi sempre, e anche mio fratello non c’è spesso 
ma la godiola la vanno a fare nel fondo di mia madre che da tempo ha gettato la spugna,
la chiave sta sotto il mattone, sullo scalino, loro arrivano, aprono fanno i cazzi loro
e poi se ne vanno e il giorno dopo mio fratello manda moglie e figlie
a dare una sistemata e a lavare i piatti che è roba da donne.
Mi viene in mente ora che quando ero soldato
i miei amici andavano a giocare a certe in camera mia
e mamma si alzava in vestaglia per cacciarli di casa ma loro insistevano
e rimanevano li fino alle due di notte,
quella poveretta non ha mai saputo cos’era la praivasi
ma ho il sospetto che in fondo non fosse poi tanto dispiaciuta.
Li, al bar, si organizza e si stabilisce il percorso del “rallì dei gallinacci”,
una corsa coi quarantotto (cinquantini) che ci vede passare a rottadicollo per le campagne
pieni di vino, sono più di vent’anni che la facciamo e st’anno non c’ero
perchè è da troppo poco che ho avuto l'infarto e quelli di casa s'incazzano.
Al bar non c’è una distinzione tra giovani e anziani, non esistono generazioni,
tutti si conoscono e trovi sempre uno con cui parlare,
è un bel posto e l’essere distante a volte mi rattrista,
ormai sono vecchio e sono stato fuori così tanto che c’ho fatto l’abitudine,
ripenso sempre volentieri al bar anche quando era di Paolo
e Bruno Totti, il vecchio padrone, grande amico di senatori DC,
che quando si incazzava diceva sempre ”vvivaddio! Ti mando in Sardegna!”
e una volta a un carabiniere ce l’ha mandato per davvero.


Questo è il bar di Cucci, ognuno ha il suo,
io ho questo ed è così come te l’ho raccontato.
Ciao

martedì 12 novembre 2013

Gerona



Uscire è stato un bel problema:
non è più come una volta che mettevi una cartina sul volante
e buttavi un occhio lì e uno alla strada,
adesso c’hai il telefono che fa da navigatore e t’affidi a lui
ma tra i palazzi di Madrid prende male e ti manda a zonzo per la periferia.
Quando però si riesce ad uscire, fuori dal traffico mi ritrovo su un’autostrada
che corre su un altipiano, saliscendi con rettilinei interminabili
bellissima, ben tenuta e liscia.
“Mi passi i cd?”
“Te li do io, te guida,quale vuoi?”
“The division bell”
“Le tue solite noie”
Metto tutti e due gli auricolari, almeno non la sento
e poi questa va ascoltata con due auricolari sennò due orecchi che ce l’hai a fare?
La strada corre che è una bellezza, sento solo musica
“What do you want from me”
Mi fermo a fare il pieno in un posto stupendo, un paesaggio con terra arata,
non campi ma terra, distese infinite di terra arata,
solo un distributore in cui ci sono solo io
vento a stuffo, ad almeno 40 chilometri all’ora.
La commessa dice che è sempre così.
Da un boschetto distante scappa fuori un’antenna: l’unica casa nel giro di millanta chilometri.

Si riparte “A great day for freedom” che gusto viaggiare così!
Metto la musica a palla “Take it back”:
il paesaggio mi viene incontro,
sullo sfondo decine e decine di pale eoliche
“Coming back to life”
190 e non ti accorgi: un camion che era un puntino passa dietro in un lampo
“And headed straight . . . into the shining sun”
(E mi sono diretto . . . verso lo splendore del sole)
Mi stacca un auricolare e mi urla di andare piano.
“La prossima volta fai le vacanze da solo”
“ E non dire magari che t’ho sentito”
“Ma non l’ho mica detto”
“L’hai pensato, stronzo”
Passa Saragozza verde di oliveti e campi ben lavorati
poi giù fino a Llerida e infine s’arriva a Girona.
Entriamo in albergo e leggo un depliant della città:
mi pare bellina e si esce a vederla.
Uno spettacolo! con la cattedrale in cima ad una scalinata
che ti fa sentire suddito da subito, senza che te lo dica nessuno;
mura possenti con poche finestre che ti guardano
e che ti fan capire che al potere non gliene frega niente di te,
sei te che devi stare attento a lui.
Entro nella chiesa di san Feliu e uno che fa i biglietti 
mi dice di ripassare fra dieci minuti
che lui va via e si può entrare gratis. 
Gli dò retta e aspetto, ma la voglia di entrare è tanta,
perché da una prima occhiata pare veramente bella,
entro lo stesso e lui non mi chiede niente.
Sta città è davvero piacevole, penso che sarebbe un bel posto per viverci
per la bellezza delle strade, con la gente felice della provincia
la serenità delle province di tutto il mondo;
donne con la sporta della spesa, una che dà da mangiare gli avanzi a un gatto,
gerani alle finestre e giovani in giro e nei bar
o forse ero io ad essere felice a godermi quella bellezza.
Domattina si riparte, si va ad Antibes.

E’ dai tempi del liceo che ho tra le mani un libricino
“Picasso- Antibes” è dai quei tempi che volevo venire fin qui,
a respirare quest’aria e ad entrare in questo castello di ladroni
che adesso è allestito apposta per lui
come se l’arte avesse scacciato il potere e l’arroganza.
Ci sono posti al mondo che vorrei vedere,
posti che ho nella mente e che ogni tanto ritrovo nella memoria,
ma questo non è mai stato in un angolo ad aspettare,
è sempre rimasto in prima fila e, nel salire le scale, quasi tremavo di paura,
temendo che non sarebbe stato come l’avevo sognato,
ma la paura all’improvviso scompare davanti alla “joie de vivre”
e poi la capra, il mangiatore di ricci, Nù che dorme sul letto blu
e i bellissimi fauni che suonano il doppio flauto
Provo a farmi fare una foto davanti alla capra,
ma una stangona bionda mi dice che non si può
allora le do la macchinetta e le dico che me la faccia lei,
no, dice che non si può
“Ma che cazzaccio ti costa, dai, fammi ‘sta foto”
Sarà stato che gliel’ho detto con un sorriso da un orecchio all’altro che me l’ha fatta,
ma ha preso solo mezzo quadro la “ stronza” (gliel’ho detto quando ho visto la foto a casa).
Cena in una piazzetta, chissà se Lui ha mangiato qui
se l’ha fatto non ha pagato di sicuro sto conto per mangiare sta schifezza!
Domattina si riparte: ho tolto un altro sogno dal cassetto
e francamente non so se essere felice o no
Quasi mi dispiace non sognare più di venire qui a vedere questo castello
dove la gioia per la vita ti arriva dentro e si spande
come quando in quelle giornate chiare di gennaio
mandi giù un thè caldo mentre fai quelle boline che ti infilzano spilli in faccia.
Domattina  si riparte, mi farò accompagnare da The dark side of the moon,
metterò di nuovo l’auricolare per spararmi la musica dritto nel cervello
Brain damage (tanto per stare in tema) e The great gig in the sky.